Esternalità positive e negative connesse alla pratica irrigua ed alle infrastrutture multifunzionali di stoccaggio

  1. Battilani1, R. Zucaro2, M. Ruberto2, S. Baralla2, C. Truglia1, M. Gargano1

1ANBI, 2 CREA Politiche e Bioeconomia

 

È ben noto che le aree irrigate contribuiscono alla produzione alimentare globale in una percentuale più che proporzionale alla superficie da esse utilizzata, la letteratura scientifica riporta che circa il 40% del totale delle calorie prodotte origina dal 18% delle terre coltivate dove si pratica regolarmente l’irrigazione1,2.

Il reale impatto della pratica irrigua sulla produzione alimentare globale è meglio percepibile se si traducono queste percentuali in intensità produttiva: la produzione relativa di calorie nei terreni non irrigui è pari a 0.73, mentre in quelli irrigati 2.22, tre volte superiore.

In Italia la dipendenza delle nostre produzioni agroalimentari dall’irrigazione è maggiormente marcata rispetto alla media globale (66%), a livello Europeo inferiore solo a Portogallo e Grecia. Paesi come la Francia, parzialmente a clima mediterraneo, si attestano intorno ad una quota del 20%, la metà della media globale.

La relazione tra la produzione nazionale di calorie e l’indice di sviluppo[3] (HDI) dell’Italia, tra i più alti (0.87) a livello globale, è indiscutibilmente molto stretta. Se cessassimo l’irrigazione in favore di un ristoro ecologico delle portate fluviali, quindi prelevando solo le portate in alveo eccedenti il deflusso ecologico/ambientale, si stima che la produzione di calorie nazionale subirebbe una contrazione del 16%[4], cui si accompagnerebbe una caduta dell’indice di sviluppo ed una conseguente importante crisi socioeconomica. Una crisi con riflessi su scala continentale: potrebbe infatti innescarsi un meccanismo inverso di protezionismo inteso a garantire la sicurezza alimentare del mercato nazionale, già sperimentato con il rallentamento od il blocco nei flussi in esportazione da paesi produttori extra-EU durante le recenti crisi generate dalla pandemia COVID 19 e dalle recenti devastanti siccità. Un blocco dei flussi commerciali di prodotti agroalimentari di pregio mediterranei, in larga parte irrigui, che frange di ecologismo già oggi richiedono a gran voce[5].

L’agricoltura è quindi giustificatamente un attore importante nell’utilizzo delle risorse idriche. In Italia tra il 60% ed il 70% circa dei prelievi di acqua dolce vengono utilizzati per l’irrigazione, in linea con la media globale[6], per sostenere tipologie di prodotto e livelli quanti-qualitativi di produzione vegetale, ed indirettamente zootecnici e caseari, strategici per il Paese.

Quando si interviene nella regolazione degli usi di risorsa idrica per l’agroecosistema, il problema maggiore è che l’irrigazione produce sia esternalità negative che positive, spesso inestricabilmente correlate tra loro.

L’agricoltura irrigua contribuisce a creare ambienti ricchi di vegetazione, idonei all’insediamento ed allo sviluppo di una ampia e differenziata fauna, ma questo accade al di fuori dell’alveo fluviale o delle zone ripariali. La rete di canali irrigui sostiene la vita dei suoli, e con essa la loro fertilità naturale, rallenta o blocca il flusso di macronutrienti e contaminanti verso i corsi d’acqua. I flussi di ritorno dell’irrigazione contribuiscono alla ricarica delle acque sotterranee e le infrastrutture irrigue sostengono fruibilità ed estetica del paesaggio e sono parte dell’eredità culturale e storica. Molte infrastrutture di stoccaggio irriguo hanno assunto negli anni una chiara valenza ambientale: esse svolgono un’importante azione rappresentando in molte zone la più significativa testimonianza di ecosistemi acquatici. I canali e gli invasi irrigui costituiscono pertanto un’importante riserva di natura e biodiversità il cui valore è oggi largamente riconosciuto. Alcuni sono classificati tra le aree umide di importanza internazionale o sono sedi di oasi o di riserve naturali gestite dai Consorzi di bonifica o dagli Enti Gestori in collaborazione con associazioni ambientaliste. Da questo si intuisce l’intricata rete socio/economico/culturale/ambientale che forma la pratica irrigua negli areali mediterranei.

Le esternalità negative prodotte dall’agricoltura sono state ampiamente discusse[7],[8],[9],[10]. Per la maggior parte sono riconducibili alla sottrazione di risorsa idrica in fasi di crisi, alla presenza in alveo di infrastrutture di captazione o stoccaggio, al trasporto solido o di soluti inquinante od eutrofizzante, alla salinizzazione dei suoli (in aree aride o costiere), allo stimolo all’utilizzo di maggiori quantitativi di fertilizzanti e pesticidi, alla perdita di biodiversità e di nicchie ecosistemiche a causa di una eccessiva semplificazione del bioma all’interno dell’agroecosistema e delle pressioni sulle aree non coltivate e sulle ripe ed alvei fluviali.

Le esternalità positive sono meno documentate, forse perché ritenute maggiormente attinenti agli aspetti sociali ed economici che ambientali. Le esternalità positive ambientali hanno spesso natura indiretta o di trasferimento da un ambiente ad un altro, con marcata natura di trade off e quindi difficilmente valutabili per il loro impatto su ampia scala. Inoltre, fornendo servizi ecosistemici e benefici ambientali al di fuori dell’alveo fluviale, non ricadono tra gli scopi della Direttiva Quadro Acque Europea.

In sintesi, le esternalità positive sono dovute ad effetti diretti sulla produzione agroalimentare e sulla qualità e varietà della dieta, con una azione complementare sulla salute. Le infrastrutture irrigue hanno anche funzioni di difesa idrogeologica dei territori, e proteggono gli insediamenti da inondazioni, oltre che allontanare le acque di scarico. L’irrigazione è fortemente associata alla diminuzione della povertà, in particolare tra i piccoli coltivatori e le fasce più deboli di consumatori. L’uso dell’acqua in agricoltura produce ben noti effetti moltiplicatori per l’economia in generale, non sempre considerati perchè richiedono di essere analizzati nel dettaglio per ogni singola filiera produttiva direttamente od indirettamente coinvolta. Queste esternalità dipendono fortemente dal luogo e dalle circostanze, e si ripercuotono in modo diseguale a livello sociale, spaziale e temporale[11].

La perdita dei raccolti causata da condizioni meteorologiche avverse è stata collegata ai fenomeni migratori[12]. Un problema sociale che l’accesso all’irrigazione può mitigare[13], ma che una transizione mal governata verso una sostenibilità di lungo periodo degli usi idrici potrebbe riprodurre anche all’interno della ricca Europa.

L’agricoltura riceve anche una serie di disservizi ecosistemici che riducono la produttività o aumentano i costi di produzione e l’utilizzo di input quali i pesticidi ed i diserbanti[14]. Parassiti delle colture, fauna selvatica erbivora, frugivora, granivora, agenti patogeni (in particolare malattie fungine, batteriche e virali) diminuiscono la produttività e nel peggiore dei casi possono comportare la completa perdita di raccolto. Il danno è particolarmente elevato per le colture il cui prezzo dipende fortemente dalla qualità e dalle caratteristiche estetiche. Le piante non coltivate competono per luce solare, acqua e nutrienti, e tramite gli essudati radicali possono ridurre la crescita delle colture limitandone l’accesso alle necessarie risorse (allelopatia). Ad una scala più ampia, specie in aree aride, l’acqua consumata da altre piante riduce l’acqua disponibile per la produzione agricola. Alcuni alberi particolarmente efficienti nella captazione possono essiccare gli strati sotto-superficiali in parte dell’appezzamento e ridurre la ricarica delle falde acquifere utilizzate anche per l’irrigazione (ad esempio, conifere, tamerici, eucalipti). Infine, le fioriture di piante infestanti competono con le colture agrarie per l’impollinazione entomofila, attirando a sé gli insetti impollinatori.

Il forte nesso esistente tra le esigenze idriche per la produzione agroalimentare e quelle ambientali solleva questioni importanti riguardo alla sostenibilità di medio/lungo periodo.

Il tema centrale è quello di sostenere ed intensificare nel prossimo futuro le attività economiche, in particolare l’agricoltura per la sicurezza alimentare e l’approvvigionamento di materie prime per la bioeconomia, senza incorrere nell’esaurimento delle riserve idriche, o nella depauperazione irreversibile degli habitat acquatici e di tutti i servizi ecosistemici da essi offerti.

La situazione italiana riguardo all’efficiente uso delle risorse idriche in agricoltura è prossima alla media globale[15], che vede circa il 40% delle pratiche irrigue classificate come insostenibili e causa del sovrasfruttamento della disponibilità contingente e della capacità di ricarica naturale delle falde.

La modernizzazione in atto da decenni delle tecniche e delle strategie irrigue necessita quindi di essere ulteriormente sostenuta ed ampliata nei suoi metodi ed obiettivi, facilitando una gestione integrata delle risorse idriche capace di garantire un aumento della produzione di calorie per unità di superficie pur mantenendo i prelievi all’interno dei limiti di tolleranza necessari a garantire ecosistemi acquatici vitali e resilienti[16].

Questa azione di modernizzazione tecnologica, intesa a razionalizzare e contenere la domanda per le produzioni agricole, rappresenta una chiave per garantire la sostenibilità di settori economici importanti[17] che dipendono totalmente dalla presenza di colture sempre più idroesigenti.

Ma la contrazione sino ai limiti della tollerabilità del soddisfacimento dei fabbisogni idrici delle colture non necessariamente si traduce in un beneficio netto in favore degli ecosistemi.

In termini puramente economici si raggiunge la sostenibilità quando il costo dell’irrigazione è inferiore al suo valore aggiunto rispetto alla produzione in asciutta, ma oggi, per un produttore agricolo, la sostenibilità riguarda anche l’accesso alla risorsa quando gli anni di deficit idrico si ripetono frequentemente o la siccità persiste nel tempo[18]. Considerati i rilevanti investimenti che debbono essere fatti per modernizzare impianti e gestione irrigua, un incerto accesso all’acqua significa semplicemente l’improduttività dell’investimento stesso con gravi danni economici per l’imprenditore agricolo.

Quando l’attenzione è rivolta all’ambiente, una pratica irrigua si dice sostenibile quando l’utilizzo di risorse idriche non compromette la produzione presente e futura di beni e servizi da parte dell’ecosistema[19].

Questa asserzione, nella sua chiarezza e semplicità, ha troppo spesso portato ad una “trappola sociale”[20],[21]. Una trappola sociale è una situazione in cui vengono intraprese azioni, tipicamente da decisori politici o dai mercati, per ottenere guadagni a breve termine o per correggere disequilibri connessi allo sfruttamento senza compensazione di beni pubblici da parte di alcuni[22], ma che a lungo termine portano ad una perdita per la collettività in primis e per il singolo stesso di conseguenza.

La riduzione dei prelievi irrigui per effetto della modernizzazione dei sistemi di distribuzione al campo è un esempio di trappola sociale. I decisori politici promuovono un aumento dell’efficienza irrigua per ottenere una parallela riduzione dei prelievi ed il rispetto del deflusso ecologico/ambientale[23], ma la mancata “inefficienza” interrompe flussi d’acqua necessari ad altri ecosistemi al di fuori dell’alveo fluviale[24]: i suoli, le ripe dei canali, i fontanili e tutte le polle e risorgive alimentate da falde superficiali rimpinguate dalle “perdite” irrigue.

L’introduzione di maggiore tecnologia intesa a ridurre la richiesta di acqua può creare il tanto discusso “effetto rebound”. Questo si genera perché l’agricoltore deve compensare maggiori costi fissi conseguenti agli investimenti ed al cresciuto costo energetico dell’irrigazione (molte delle tecnologie ad alto risparmio idrico sono in compenso energivore), a cui si accompagna un maggiore rischio di perdita di valore economico della produzione i cui margini di resilienza sono già sfruttati al massimo per raggiungere l’obiettivo di risparmio idrico. Questo spinge l’agricoltore ad incrementare le superfici coltivate con colture da reddito, generalmente irrigue[25],[26].

Affrontare un’esternalità solo in senso ambientale od economico potrebbe portare a risultati diversi dall’obiettivo ambientale predeterminato. Agire solo sul lato della domanda, attraverso la modernizzazione, anche implementando politiche di prezzo dell’acqua, può quindi facilmente portare a trappole sociali. Questo va evitato nell’interesse stesso dell’ambiente che si intende proteggere[27].

Se rimane fondamentale il ruolo degli incentivi di breve termine per la compensazione degli extra costi sopportati dai singoli per proteggere l’ambiente nell’interesse collettivo di lungo periodo, altrettanto determinante è un’azione volta a stabilizzare l’offerta, in questo caso l’accesso ad una adeguata disponibilità di risorsa idrica.

Nonostante il crescente bisogno di disporre di acqua irrigua per superare momenti di grave stress idrico, la più grande fonte di acqua per l’agricoltura resta la pioggia[28]. Attualmente, l’efficienza di utilizzo dell’acqua piovana nei sistemi agricoli è stimata tra il 35% ed il 50%. È possibile recuperare una quota significativa dell’acqua piovana persa per evaporazione dal suolo ma soprattutto per ruscellamento e percolazione attraverso infrastrutture quali serbatoi di acqua piovana/piccoli invasi utili anche per la regolazione delle inondazioni.

La raccolta delle eccedenze di acqua piovana a livello aziendale od interaziendale (rain harvesting)[29],[30], delle acque di restituzione dell’attività irrigua, e di flussi istantanei dannosi per l’ambiente e per la società, ma spesso anche potenzialmente pericolosi o letali, è ben lontana dall’essere una trappola sociale. La cattura di flussi idrici in eccedenza di cui non possono beneficiare gli invasi di grandi dimensioni in alveo, e/o la diversione di portate istantanee in eccesso potenziale causa di inondazioni, ha un effetto positivo sui successivi prelievi in fase di magra e sulla qualità delle acque che giungono infine al fiume. Con questa azione di mitigazione di una o più importanti esternalità negative si ottengono numerosi trade-off positivi quali la supplementazione idrica alle colture, il contribuire alla ricarica delle falde, il ridurre le perdite di nutrienti verso i corpi idrici naturali, il controllo dell’erosione[31].

La creazione di una rete di invasi multifunzionali di piccole dimensioni è fortemente sostenuta da ANBI e Coldiretti con il “Piano Laghetti” presentato nel 2021[32]. La creazione di oasi di biodiversità multifunzionali a sostegno della sicurezza alimentare dovrebbe incontrare anche il sostegno del mondo ecologista che, seppur su scala minore e con funzionalità più limitate, ha postulato simili ipotesi in passato[33].

Il settore dell’agricoltura irrigua è soggetto ad una pressione crescente volta a trasferire l’acqua ad usi non agricoli, per il ristoro di ambienti acquatici e a supporto della flora e della fauna selvatica. L’irrigazione può portare alla creazione di un elevato numero di zone umide[34], sia effimere che permanenti, che quando gestite con un protocollo che miri alla salvaguardia ambientale ed al sostegno delle produzioni agricole irrigue, possono diventare veri hot-spot di biodiversità, capaci di agire come zone rifugio e punti di ricarica per gli ambienti acquatici e non ad essi interconnessi[35]. Esperienze su bacini di dimensione medio/grande dimostrano la fattibilità e la comparabilità con i costi di conservazione dell’ambiente sopportati con approcci diversi[36].

Il progetto PON Water4AgriFood sta esplorando la possibilità di sostenere con i rilasci irrigui aree umide di alto pregio ambientale.

Il caso studio è localizzato nell’azienda sperimentale di Arborea (Sardegna), di proprietà di Bonifiche Ferraresi, con il fine di valutare metodi e costi di azioni mirate a coniugare le esigenze produttive con la tutela dell’ambiente e della risorsa idrica.

Le acque di drenaggio dell’azienda confluiscono in una zona ZPS (ITB034001), lo Stagno di S’Ena Arrubia, che si trova nella fascia costiera meridionale della Provincia di Oristano. La ZPS ha una superficie complessiva di circa 298 ettari e si inserisce nel vasto sistema di zone umide dell’Oristanese. Originariamente S’Ena Arrubia costituiva l’estremità nord-occidentale dello Stagno di Sassu e garantiva a quest’ultimo un collegamento diretto col mare tramite un’ampia foce. La Bonifica di Arborea, realizzata tra fra gli anni ’20 e ’30, provocò il prosciugamento dello Stagno di Sassu e del complesso sistema di paludi che occupava la piana fra Santa Giusta e Marceddì, trasformando la Laguna di S’Ena Arrubia, ora  divenuta il bacino di raccolta delle canalizzazioni della bonifica. L’afflusso di acque interne è regolato da tre canali, ma i carichi di nutrienti di origine agricola sono veicolati per la maggior parte dal Canale delle acque basse, attraverso l’Idrovora di Sassu.

Lo studio valuta la qualità delle risorse idriche restituite al reticolo idrografico superficiale e alle falde, e ha messo in opera una rete di sensori di concentrazione che forniscono dati ad un modello che, tra le altre, simula il trasporto di inquinanti per quantificare l’impatto sui suoli e sulle acque superficiali e profonde delle attività agro‐zootecniche.

La metodologia sperimentata costituisce un avanzamento rispetto alle applicazioni modelliste tradizionali in quanto integra misure oggettive effettuate in nodi critici del reticolo di drenaggio aziendale con il database relativo all’uso agronomico del territorio (SIGRIAN) ed alle tecniche che direttamente o indirettamente influenzano la distribuzione spazio‐temporale degli inquinanti.

Il valore aggiunto offerto da questo approccio è principalmente dato dall’analisi predittiva dei flussi di inquinanti prodotti dalle specifiche pratiche agricole aziendali verso l’area umida costiera.

I risultati verranno analizzati anche per verificare l’ipotesi di poter adeguare la tariffa per l’acqua irrigua in funzione della qualità delle acque di ritorno. La restituzione di acque di buona qualità potrebbe essere ragione di minore aggravio sul ruolo irriguo emesso dal consorzio di bonifica e del canone di concessione per i prelievi in autoapprovvigionamento.

Si intende dunque effettuare una valutazione economica dei benefici e dei costi ambientali connessi con la pratica irrigua, le esternalità negative e positive, per ricavarne i criteri per adeguare la tariffa irrigua alla qualità delle acque di restituzione.

Questa sperimentazione ricalca in parte il criterio del Water Quality Market, lanciato nel 2003 dall’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente americana, recentemente aggiornato ed ampliato[37]

Vista la natura della relazione tra ambiente e agricoltura irrigua, un obiettivo realistico e sostenibile dovrebbe essere quello di bilanciare servizi ecosistemici forniti e pressioni ambientali esercitate, raggiungendo un livello efficiente ed accettabile, piuttosto che mirare ad eliminare del tutto le esternalità negative di una pratica indispensabile.

La compensazione di azioni di riduzione del carico inquinante e di miglior gestione delle acque irrigue, inclusi i flussi di restituzione, acquista una valenza positiva per l’imprenditore agricolo che vede premiato lo sforzo economico necessario all’implementazione delle tecnologie e delle competenze necessarie a conseguire un risultato non economico ma di grande utilità sociale ed ambientale.

 

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[31] Falkenmark, M. and Rockström, J. (2004). Balancing water for humans and nature: the new approach to eco-hydrology. London: Earthscan.

[32] Si citano a questo proposito: https://www.anbi.it/art/articoli/6128-anbi-il-piano-laghetti-di-coldiretti-e-anbi-contribuira-a-co ; https://terraevita.edagricole.it/cambiamenti-climatici/anbi-e-coldiretti-danno-il-via-ai-primi-223-progetti-del-piano-laghetti/; https:// www.agricultura.it/2022/07/07/emergenza-idrica-ecco-il-piano-laghetti-10-mila-invasi-entro-il-2030-223-progetti-gia-cantierabili-emilia-romagna-guida-con-40-poi-toscana-e-veneto-2/ ;https://www.meteoweb.eu/2023/01/siccita-piano-laghetti/1001189554/

[33] Si veda: The million pounds project https://freshwaterhabitats.org.uk/wp-content/uploads/2013/08/MPP-Y4-REPORT-final_low-res.pdf; One Million Ponds – Campagna per la tutela e sensibilizzazione delle piccole zone umide. A cura di A. Agapito Lodovici, WWF Italia, 2018. https://www.wwf.it/pandanews/ambiente/one-million-ponds-report-wwf/

[34] Sueltenfuss, J.P., Cooper, D.J., Knight, R.L. et al. The Creation and Maintenance of Wetland Ecosystems from Irrigation Canal and Reservoir Seepage in a Semi-Arid Landscape. Wetlands 33, 799–810 (2013). https://doi.org/10.1007/s13157-013-0437-6

[35] Battilani, A., De Waegemaeker, J., 2022.  Nature-based Solutions for water management under climate change Minipaper: Agricultural Nature-based Solutions as biodiversity hotspots for river ecosystems resilience. EIP-AGRI Focus Group 46, https://ec.europa.eu/eip/agriculture/sites/default/files/fg46-mp3-agricultural_nbs_for_river_ ecosystems_resilience.pdf

[36] Peck, D. E., D. M. McLeod, J. P. Hewlett, and J. R. Lovvorn. 2004. Irrigation-dependent wetlands versus instream flow enhancement: economics of water transfers from agriculture to wildlife uses. Environmental Management 34(6):842-855. http:// dx.doi.org/10.1007/s00267-004-3085-z

[37] EPA, 2003. National Water Quality Trading Policy, https://www.epa.gov/system/files/documents/2022-12/Water-Quality-Trading-Policy.pdf ; EPA, 2019. Updating the EPA’s Water Quality Trading Policy to Promote Market-Based Mechanisms for Improving Water Quality.  https://www.epa.gov/sites/default/files/2020-10/documents/trading-policy-memo-2019.pdf