“Costi e benefici ambientali dell’uso dell’acqua in agricoltura: la tariffa irrigua come strumento di internalizzazione”
- Battilani1, M. Ruberto2, S. Baralla2, R. Zucaro2, C. Truglia1, M. Gargano1
1ANBI, 2CREA-Centro di ricerca Politiche e bioeconomia
A mano a mano che la domanda di acqua cresce, essa comporta obiettivi ambientali più complessi ed articolati; così la sua gestione diviene un elemento centrale per lo sviluppo delle economie mediterranee ed Europee.
In risposta alle crescenti preoccupazioni sulla qualità dell’acqua e sulla sua futura disponibilità in Europa, l’UE ha istituito un quadro di azione comunitaria nel campo delle politiche per l’acqua che ha come fulcro la Direttiva Quadro Europea sulle Acque (DQA)[1]. La Direttiva mira a proteggere e migliorare le acque di superficie e sotterranee e a questo scopo definisce, seppure in modo assai vago, il criterio di “buono stato ecologico” definito come quello stato che si discosta solo leggermente da quello riscontrabile in condizioni di minimo impatto antropico (allegato V, DQA). Tutti i corpi idrici negli Stati membri dell’UE avrebbero dovuto raggiungere questo status entro il 2015.
Il Buono Stato Ecologico si compone di due parti separate: uno stato ecologico ed uno stato fisico/chimico, entrambi determinati da diversi indicatori. Ad essi si aggiunge la valutazione dello stato idromorfologico del corso d’acqua[2].
La normativa prevede che la qualità sia definita in maniera integrativa utilizzando i diversi indicatori biologici, fisico/chimici ed idromorfologici. La valutazione è improntata sui principi di massima precauzione e “one-out, all-out”; quest’ultimo prevede che lo stato ecologico del corso d’acqua sia determinato dal peggiore degli indicatori misurati.
Come discusso da lungo tempo[3], il principio “one-out, all-out” tende a concludere che un corpo idrico è al di sotto dello stato “buono”, anche se il corpo idrico realmente è in “buono” stato[4]. Di conseguenza, il principio “one-out, all-out” aumenta la probabilità di ottenere uno status inferiore per pura casualità o a causa di parametri il cui impatto sull’ecosistema e sulla biodiversità è marginale. Il rischio di una classificazione errata ad uno stato più elevato rispetto a quello effettivo appare molto meno probabile[5].
A questo si aggiunge che la DQA fu pensata e calibrata per i grandi fiumi perenni nord-europei o comunque per corsi d’acqua con un regime variabile ma non intermittente o effimero.
I fiumi intermittenti ed i torrenti effimeri sono quei corsi d’acqua che cessano il flusso in un determinato momento della stagione e/o per una parte del loro corso. Essi sono probabilmente il tipo di corso d’acqua superficiale più diffuso sul pianeta, e si stanno espandendo dove il clima diventa più secco e la domanda umana di acqua aumenta[6]. Inoltre, si collocano sempre di più all’interno di ecosistemi terrestri semiaridi od aridi.
Tuttavia, la ricerca sui comportamenti e sulla resilienza degli ecosistemi acquatici e sui servizi ecosistemici forniti si è concentrata sui fiumi perenni[7], riflettendo la priorità attribuita a regimi idrologici in cui è più semplice applicare indicatori biologici. È necessario investire nella ricerca per comprendere come l’intermittenza del flusso modifichi la fornitura di servizi ecosistemici, così come il ciclo dei nutrienti, la mitigazione delle inondazioni e la purificazione dell’acqua.
Altrettanto importante è la comprensione di come l’ecosistema fluviale stia progressivamente adattandosi a questo cambiamento di regime idrico, indotto principalmente dal modificarsi della distribuzione, intensità e stagionalità delle precipitazioni e dal minore spessore sino alla totale assenza del manto nevoso in quota.
Da tempo si osserva l’evoluzione di nuovi ecosistemi con nuove combinazioni di specie, che non hanno una storia evolutiva condivisa[8], spesso combinando specie alloctone invasive ed autoctone.
L’emergere di questi nuovi ecosistemi è una sfida per il ripristino e la conservazione dei fiumi[9] e pone gravi interrogativi riguardo alla validità, in termini eco-idrologici, dell’applicazione di regimi di deflusso ecologico non calcolati per regimi intermittenti e che tendono a contrastare un processo evolutivo in atto. Citando Seastedt, et al.: “Nella gestione di nuovi ecosistemi, il punto non è pensare fuori dagli schemi ma riconoscere che gli schemi stessi sono cambiati…”[10].
È un fatto che la maggioranza degli studiosi di scienze dell’evoluzione concordi da tempo che il cambiamento biotico, l’evolversi di nuovi ecosistemi, dominerà il 21° secolo producendo qualcosa di mai visto precedentemente, letteralmente scenari futuri senza analogie con quanto conosciuto nel passato[11],[12].
In parallelo assistiamo ad un processo di adattamento, più evidente nelle acque di transizione ma riscontrabile anche dove insistono da tempo sufficiente fattori pressori quali il cambio di regime idrologico o alterazioni delle condizioni chimico-fisiche. Le specie esposte a tali livelli di variabilità ambientale tendono naturalmente ad adattarsi e a diventare tolleranti[13] a condizioni che in passato rappresentavano causa di riduzione della popolazione[14].
L’accelerazione degli impatti conseguenti al cambiamento climatico e l’urgenza percepita dalla cittadinanza spingono i decisori politici verso obiettivi “tradizionali”, facilmente condivisibili e comunicabili, come il mantenimento degli ecosistemi nativi. Questo probabilmente risulterà essere impossibile, ma qualora non si possano mantenere o ripristinare le biocenosi native, non va comunque abbandonato l’obiettivo di mantenere un elevato grado di biodiversità e le funzioni dell’ecosistema.
Da un punto di vista socio-economico, questo implica che azioni di ripristino o di salvaguardia potrebbero essere applicate laddove non necessarie, ponendo in discussione i fondamenti stessi di una analisi dell’impatto socio-economico, dell’efficacia o della disproporzionalità degli interventi.
La valutazione socioeconomica incontra ulteriori difficoltà se si considera che il quadro evolutivo sin qui descritto combinato a fattori di stress di origine antropica risulta in un elevato livello di frammentazione degli habitat e degli ecosistemi, la maggior parte dei quali limitati nello spazio. Ciascuno di essi richiede misure specifiche per massimizzare l’impatto locale e l’influenza sul quadro generale e sugli ecosistemi, anche non acquatici, interconnessi.
La DQA prevede che qualsiasi metodo utilizzato per valutare l’impatto ecologico debba rilevare solo le pressioni antropiche, mostrare una chiara risposta alla pressione identificata ed evitare che essa sia attribuibile alla variabilità naturale. Questo esercizio diviene particolarmente complesso ove lo stato qualitativo del corpo idrico è valutato con metodi ed indicatori sviluppati per regimi variabili senza periodi di intermittenza. È facilmente intuibile come questi indicatori, anche nelle migliori condizioni, restituiscano inevitabilmente una alternanza di stato ecologico tra il buono e il non buono che, applicando il principio “one out – all out”, definisce la necessità di intervenire per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla politica Europea per l’acqua alla fine degli anni ’90, senza per questo offrire una indicazione sul reale impatto sugli ecosistemi in fase evolutiva e adattiva e sulla loro capacità di produrre servizi ecosistemici.
La valutazione socioeconomica è ritenuta un fattore integrante dello sviluppo dei piani di bacino idrografico e nella progettazione del programma di misure per raggiungere gli obiettivi ambientali della DQA.
La stima dei risultati attesi e la valutazione ex-post degli stessi si avvale dell’Analisi Costo/Efficacia (CEA) che restituisce indicatori di efficienza, permettendo la comparazione preventiva tra le possibili misure o la valutazione del risultato in termini di unità fisiche. Uno dei vantaggi dell’analisi costo/efficacia è la valutazione non tanto della fattibilità tecnica, ma del tempo di risposta all’intervento tecnico che potrebbe essere molto dilatato consentendo di raggiungere l’obiettivo ambientale solo gradualmente e non entro i tempi previsti. Una scarsa efficacia dell’intervento programmato suggerisce di ricorrere a tecnologie o soluzioni diverse, o l’impossibilità fattuale allo stato dell’arte di ottenere i risultati desiderati in tempi utili.
Tuttavia, l’analisi costo/efficienza non permette di misurare i benefici netti di un programma di interventi in termini monetari, un input essenziale per definire se i costi sono eccessivi o sproporzionati. Questa valutazione ha un ruolo importante come criterio di selezione per definire un programma di misure economicamente sostenibile.
Per raggiungere gli obiettivi indicati dalle politiche Europee per l’acqua sono necessari importanti investimenti infrastrutturali, a cui si aggiungono i costi sopportati dalle imprese a causa della necessità di cambiare il processo produttivo o, in casi estremi, di cambiare l’indirizzo produttivo o persino rilocare o cessare l’attività.
È cruciale che gli investimenti sia pubblici che privati siano debitamente giustificati nei confronti delle parti interessate, dimostrando i benefici che apportano in modo oggettivo e comparabile[15]. In particolare, è indispensabile che il costo percepito, che coinvolge aspetti difficilmente parametrizzabili e monetizzabili, non sia ritenuto disproporzionato.
Il ricorso all’analisi costi/benefici (CBA) è quindi necessariamente complementare alla CEA, se si intende garantire la razionalità economica degli investimenti. Perché un investimento sia sostenibile è infatti necessario che i benefici delle misure ambientali applicate superino i costi sociali, economici ed i trade-off ambientali.
La CBA è quindi uno strumento utile per informare la politica, comunicare con le parti interessate e con la cittadinanza e per rendere socialmente accettabile il processo decisionale.
Ma per giungere a questo la CBA deve incorporare elementi di equità, quali la giusta considerazione degli svantaggi e dei trade-off per i settori produttivi coinvolti direttamente ed indirettamente, dei necessari costi di assicurazione e/o di condivisione del rischio, la inclusione delle esternalità positive generate dai settori produttivi (in particolare agricoli) debitamente monetizzate e non confinate alla sola valutazione di efficienza.
Il tema dell’analisi costi/benefici è particolarmente complesso. La DQA offre infatti la possibilità di fissare obiettivi meno stringenti rispetto a quelli identificati nei Piani di Bacino o di attivare deroghe temporali quando le misure implementate siano tecnicamente irrealizzabili, o i costi risultino sproporzionati rispetto alla capacità finanziaria dell’organismo che ne sopporta il carico ai fini di migliorare la qualità ambientale, o rispetto ai benefici apportati da un miglioramento della qualità ambientale[16].
Purtroppo, se la DQA e le successive linee guida WATECO[17] definiscono il concetto di costi disproporzionati, non specificano però quanto deve essere ampio il divario tra costi e benefici perché possa essere attivata l’esenzione[18],[19], lasciando così un certo grado di interpretazione da parte degli Stati Membri e spazio a livello comunitario per pressioni da parte di quelle componenti della società che ritengono che nessun costo possa essere ritenuto disproporzionato e che le misure debbano essere implementate istantaneamente. Atteggiamento, quest’ultimo, che dimentica che tanto più grande è la distanza tra costi e benefici delle misure implementate, tanto maggiore sarà la difficoltà di migliorarle quando saranno disponibili tecnologie o soluzioni innovative; inoltre, qualora esse risultino poco efficaci, sarà economicamente impossibile attivare misure aggiuntive. Tali difficoltà divengono manifeste se si considera che la maggior parte delle azioni possibili grava su pochi settori economici, vista la chiara indisponibilità a spostarne il peso sulla tassazione generale.
Dal punto di vista metodologico la CBA utilizza la monetizzazione oppure “soglie e criteri”[20]. La prima metodologia è certamente la più diffusa, seppure con molte varianti18,[21],[22]. A titolo d’esempio, l’esperienza francese, forte di un numero di casi studio di oltre 700 corpi idrici sottoposti a CBA monetaria, ha portato a definire una soglia di proporzionalità dei costi fissata, date le incertezze, ad un beneficio pari ad almeno l’80% del costo. La soglia indicata incorpora la sovrastima dei costi di implementazione e considera la frequente difficoltà a stimare correttamente i benefici generati, solitamente sottostimati.
Vista la difficoltà generalizzata di monetizzare i benefici è stata sviluppata la CBA a soglie e criteri[23],[24]. La metodologia, piuttosto complicata, si basa su una analisi multicriteria[25]. Il metodo, applicato inizialmente in Germania su oltre 170 corsi idrici, restituisce una risposta per fasi di processo e giunge alla valutazione delle misure più efficaci ed economicamente vantaggiose. Partendo dalla valutazione delle spese correnti per la protezione delle acque si determina la capacità di aumentarle con un fattore massimo di 0,5 rispetto alle spese attuali. Ogni misura proposta ottiene un fattore di aumento che moltiplicato per le spese annuali sul corpo idrico viene convertito in valore monetario, permettendo il confronto con le altre misure considerate. Misure che superino la soglia massima di aumento calcolata non dovrebbero essere attuate e giustificano la richiesta di una deroga.
Nonostante gli sforzi metodologici per ricomprendere nella CBA la valutazione dei servizi ecosistemici, essi ed il valore della biodiversità restano tra i più complessi valori ambientali da misurare e definire[26].
Il valore economico totale del cambiamento dell’ecosistema deve essere distinto dalla valorizzazione di tutti i sotto-ecosistemi che lo compongono. In altre parole, il valore del sistema può essere superiore al valore della somma delle sue parti[27] grazie all’intreccio di complesse interazioni ecologiche, sociali ed economiche.
Il corollario di ciò, è che un basso valore economico per un qualsiasi servizio ecosistemico potrebbe indurre a ritenerlo poco utile, ma questo potrebbe rivelarsi una componente chiave per altri servizi ecosistemici e la sua mancanza impatterebbe sugli altri servizi causando cambiamenti complessi quanto imprevedibili all’interno dell’ecosistema oggetto di valutazione.
Purtroppo, i servizi ecosistemici meno valorizzati sono quelli connessi alle esternalità positive prodotte dal settore primario e dall’agricoltura irrigua. Non per questo meno importanti e necessari nell’ambito delle interazioni tra ecosistemi acquatici e terrestri.
Molte decisioni prese sulla base di CBA risultano affette da grande incertezza a causa dei limiti esistenti riguardo alla disponibilità dei dati, alla scala di riferimento delle informazioni disponibili troppo spesso diversa dal distretto idrografico, alle modalità di raccolta ed organizzazione diverse tra settori ed operatori economici o Enti preposti, con conseguenti impatti sulla qualità dei dati stessi. In breve, sono necessari miglioramenti per rendere la CBA uno strumento utile per i decisori politici e sicuro per i settori economici interessati dalle misure ambientali.
Inoltre, va concentrata l’attenzione su come integrare principi di equità che riguardano la distribuzione degli oneri ambientali e dei benefici tra diversi settori e su come scontare benefici e costi futuri[28]; questione controversa, quest’ultima, specie quando coinvolge misure di mitigazione che avranno pieno impatto economico tra decenni o costi, tipicamente agricoli, che si riverberano ad esempio sul settore agroalimentare in un’ottica almeno pluridecennale e che influenzano dinamiche inflazionistiche e occupazionali.
Rimane viceversa insoluto il problema di monetizzare le perdite di quegli operatori che su base volontaria o sullo stimolo di meccanismi premiali, ad esempio gli ecoschemi della Politica Agricola Comune, effettuano investimenti per la produzione di esternalità positive e servizi ecosistemici ma vengono comunque gravati, al pari di altri, dei crescenti costi ambientali connessi agli obiettivi della politica dell’acqua Europea nei casi in cui non risultino del tutto compensati dai finanziamenti pubblici.
In questo caso l’analisi costi/benefici richiederebbe un grado di dettaglio estremo, inapplicabile nella pratica; resta comunque possibile interiorizzare i costi ambientali al netto dei benefici prodotti (ad esempio attraverso la rimozione di carichi azotati, l’ attuazione di tecniche di agricoltura conservativa e carbon farming) nel costo per unità di acqua utilizzata a livello aziendale, definendo in questo modo un equo meccanismo ridistributivo dei costi determinati e decisi sulla base di una CBA condotta a scala idrografica.
Una azione di governance economico sociale della risorsa di questa natura avvicinerebbe la gestione della risorsa al principio di compensazione[29],[30] che dovrebbe guidare in pratica ogni decisione su politiche e progetti in contesti di vita reale. Esso stabilisce che i benefici, i guadagni in termini di benessere umano, dovrebbero superare i costi, perdite di benessere umano, per tutte le politiche ed i progetti da approvare.
[1] Directive 2000/60/EC of the European Parliament and of the Council establishing a framework for Community action in the field of water policy. http://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=uriserv:l28002b
[2] European Commission (2015), EU Water Policy and Technical Principles of RBMPs in the EU, https://www.riob.org/ fr/file/288256/download?token=c2U4jETU
[3] Hering, D., Borja, A., Carstensen, J., Carvalho, L., Elliott, M., Feld, C.K., Heiskanen, A.S., Johnson, R.K., Moe, J., Pont, D., Solheim, A.L., van de Bund, W., 2010. The European Water Framework Directive at the age of 10: a critical review of the achievements with recommendations for the future. Sci. Total Environ. 17, 149–160.
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[16] European Commission (2009), Guidance Document on Exemptions to the Environmental Objectives, Guidance Document N° 20 for the Common Implementation Strategy for the Water Framework Directive (2000/60/EC), Technical Report 2009-027”. https://ec.europa.eu/environment/water/water-framework/economics/pdf/Guidance_document%2020 .pdf
[17] A questo riguardo fare riferimento ai lavori nel quadro della “Common Implementation Strategy for the Water Framework Directive (2000/60/EC): Economics and the environment – Working Group 2.6 on Economic Analysis (WATECO)”, European Commission.
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[28] BLUE2 Consortium (2019): “Summary Report”. Deliverable of the BLUE2 project “Study on EU integrated policy assessment for the freshwater and marine environment, on the economic benefits of EU water policy and on the costs of its non- implementation”. Report to DG ENV https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/54f93503-96f6-11e9-9369-01aa75ed71a1/language-en/format-PDF/source-241055714
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